mercoledì 29 luglio 2015

U.S. on the road: memorie e idee per viaggiatori

Insieme con le dia del raid canoistico in Francia, ho fatto digitalizzare anche qualche centinaio di vecchie foto di viaggio. Fra queste anche quelle del lungo viaggio/soggiorno negli Stati Uniti (settembre 1985 - aprile 1986) che incluse il percorso da costa a costa in entrambe i sensi. Dopo un paio di mesi in New England passati da quasi turista a New York e dintorni (un paio di settimane) e a Boston (6 settimane di lavoro come scaricatore/magazziniere), alla prima gelata decisi che era ora di trasferirmi in regioni più calde e ovviamente non mi lasciai sfuggire l’occasione di andarci in macchina.
Allora chi traslocava da uno stato all’altro di norma inviava la propria auto facendola guidare a qualcuno disposto a stare ore e ore al volante senza superare il famoso ridottissimo limite di velocità di 55 mph (88,5 km/h). Molte volte si mandava la vecchia auto ai figli che si erano trasferiti al college. Avendo tempo a disposizione, era senz’altro una esperienza indimenticabile, in particolare se si trovava una macchina decente da consegnare sulla costa opposta. Questo servizio è fornito ancora oggi dalle driveaway agencies anche se pare che non si trovino più tante ottime occasioni come 30 anni fa. In epoca pre-internet si cercavano gli annunci sui quotidiani e poi si andava a contrattare il viaggio di persona. La prassi era semplicissima (come quasi tutto in USA, almeno all’epoca) e consisteva nel trovare una destinazione interessante, negoziare un poco sul “contributo benzina” e sulla data entro la quale consegnare l’auto, esibire passaporto e patente internazionale, versare 50 dollari di cauzione, firmare un paio di documenti.
Fui abbastanza fortunato da trovare subito il viaggio perfetto per le mie esigenze: da Orange, New Jersey (una ventina di km a ovest di New York) a San Diego, California (dove avevo un “appuntamento”), quasi 3.000 miglia, poco meno di 5.000km! Anche la macchina era perfetta in quanto era piccola e con il cambio manuale (una Toyota Celica) e a causa di ciò l’agenzia aveva non pochi problemi in quanto quasi tutti gli americani avevano familiarità solo con quello automatico. Seppi che l’auto era in attesa da già quasi un mese e ciò mi consentì di ottenere 60 dollari per la benzina (più del normale) e 3 giorni in più per il viaggio (era prassi calcolare 350-400miglia al giorno) e quindi invece di 8 giorni ne ebbi a disposizione 11. C’erano un altro paio di condizioni, una la rispettai, l’altra no. Era concesso un surplus di miglia (in percentuale, in modo da consentire deviazioni dall’itinerario più breve) che permettevano di fare un po' di turismo, ma la macchina doveva essere consegnata entro 24 ore dall’ingresso nello stato di destinazione. Feci questo primo coast-to-coast senza quasi fermarmi e senza deviazioni, ma arrivato in California tenni la macchina per quasi una settimana percorrendo tutte le miglia disponibili ... Alla consegna ricevetti i 110 dollari (50 di deposito + 60 per il carburante) ed ottenni un passaggio per la stazione degli autobus (i famosi Greyhound).
Ora molto è cambiato, ma dal mid-west alle coste del Pacifico si attraversa ancora il vecchio west, quello dell’immaginario collettivo, delle strade infinite in mezzo al niente, o meglio, a paesaggi desrtici ma pieni di fascino. Nel mio viaggio, da Dallas in poi, dopo aver percorso le affollate highways del nordest fra New York, Philadelphia e Washington, quelle più tranquille del centro lambendo Memphis, Nashville e Little Rock, guidai per ore e ore incrociando pochissimi veicoli e passando per luoghi simbolo del Far West come Pecos, El Paso, Tucson, Yuma
Questa pagina (in inglese) fornisce quasi tutte le informazioni necessarie (le condizioni sono molto cambiate) mentre in quest'altra potete farvi un’idea delle auto da trasferire e delle destinazioni
Qui ci sono gli itinerari degli altri due trasporti che feci: 
* Los Angeles, CA Eugene, OR 
* Los Angeles, CACincinnati, OH
Nel primo caso guidai una enorme Pontiac LeMans del 1971 della quale non ricordo la cilindrata esatta, ma di quel tipo esistevano solo 2 versioni 350 e 400 cu in, vale a dire 5.735 e 6.555 cc, rispettivamente 320 e 355 cavalli, con cambio automatico (foto in basso, non scaricata da internet, è proprio quella che guidai). Percorrere con tale classica macchina americana degli anni '70 la mitica Pacific Coast Highway, alias California State Route 1, la tortuosa strada costiera californiana che avrete visto in migliaia di film e telefilm, non è cosa di tutti i giorni.


Concludo ricordando che il terzo trasporto mi consentì di fermarmi una notte a Las Vegas, passandola fra quasi tutti i locali più famosi, ma solo per giocare alle slot machine più economiche, da 1/4 di dollaro, e vincendo comunque 60 dollari. Di effettuare un paio di escursioni memorabili scendendo nel Grand Canyon e visitando il Parco Nazionale di Mesa Verde, prima di andare a Cincinnati.

Ci sarebbe tanto altro da raccontare e ci vorrebbe molto tempo per parlare del selvaggio west, del passaggio attraverso un tumbleweed storm, delle soste nei truck stops, cafeterias e diners nel bel mezzo del deserto frequentati solo ed unicamente da camionisti o di quando (al primo distributore self-service) non trovavo il tappo del serbatoio! nascosto dietro la targa, che si abbassava, impossibile da vedere o immaginare. 
Pur non potendo garantire che sia ancora piacevole fare una cosa simile al giorno d’oggi, senz’altro suggerisco ai più avventurosi di approfondire l’argomento e prendere in considerazione un coast-to-coast così. A seconda dei vostri interessi, capacità di guida, fortuna nel trovare auto e percorsi giusti e familiarità con l'inglese, con un po' di pianificazione e pochi soldi potreste realizzare il viaggio della vita.

lunedì 27 luglio 2015

1750km in kayak - prima puntata

In attesa di pubblicare il resoconto e le immagini della prima uscita “ufficiale” sul sentiero del Vuallariello, fornisco qualche altra anticipazione in merito al raid canoistico Dunkerque – Arles – Bordeaux portato a termine nel 1986. Ho appena ricevuto i riversamenti su file delle diapositive scattate all’epoca e vi propongo alcune immagini significative.
Qui di seguito vedete il camper nel quale dormivano in 5, mentre gli altri 2 erano in tenda. Per la maggior parte dell’itinerario pagaiavamo lungo tranquilli canali bordati da platani, attraversando caratteristiche cittadine, ma al nord dovevamo condividere le vie d’acqua commerciali con imbarcazioni (peniche) ben più grandi delle nostre.
   

   
Per rapidità, la maggior parte delle volte superavamo le chiuse sbarcando, caricandoci le canoe sulle spalle e rimettendole in acqua dall’altro lato. Nella sequenza qui sotto vedete l’ingresso nella chiusa, il suo riempimento chiudendo la porta a valle e facendo filtrare l’acqua dalla vasca a monte fino a pareggiarne il livello. Quindi si apriva la porta superiore e proseguivamo il nostro viaggio.
   

   
Nella prossima foto a sinistra osservate bene quella macchia scura con centro bianco che qualcuno potrebbe pensare essere una ruota per facilitare il trasporto della canoa a terra. Niente di tutto ciò, eppure era un elemento fondamentale  che avevamo quasi sempre a bordo, in particolare quando non prevedevamo di pranzare (pasta) nel camper ma per questioni logistiche portavamo il cibo in canoa. Era un contenitore per vino da 5 litri che comprammo pieno la prima volta e poi frequentemente riempivamo di nuovo in una delle tante onnipresenti cantine francesi che vendevano vino sfuso. Quanto facevamo a litro non l’ho mai calcolato con esattezza ... 
   
Nella foto a destra lo si vede già pronto sul tavolo mentre si preparano i “panini” (spesso flûte – simili alle baguette, ma di diametro maggiore – con camembert e pâté o terrine de campagne) che, nel caso fossero previsti oltre 40km, venivano accompagnati da un buon numero di uova sode ... il vino rosso ci “azzeccava” proprio. 
Alla prossima puntata ...

sabato 25 luglio 2015

1750km in kayak, da Dunkerque a Bordeaux (1986)

I pochi che hanno letto di quella che ho citato come “impresa memorabile” nel mio profilo Google+ sanno che nel 1986 organizzai e guidai una spedizione canoistica in Francia attraversandola da nord a sud e poi a nordovest. Anche quelli che all’epoca bazzicavano per Massa e soprattutto navigavano lungo le coste lubrensi se ne ricorderanno o almeno ricorderanno le decine di kayak che ogni giorno lasciavano il porticciolo della Lobra pagaiando verso Puolo e Sorrento, ma sopratutto verso sud per andare a Mitigliano, Jeranto o Marina del Cantone anche se non mancavano quelli che si spingevano ben oltre fino a Crapolla, Li Galli, Positano e – lungo altra rotta, a Capri.
L’idea di questo lungo raid sull’acqua, a forza di braccia, risale al 1983, pochi anni dopo aver cominciato a pagaiare. A giugno feci un tentativo (abbastanza azzardato) di andare da Dunkerque (sulla Manica) ad Arles (quasi sul Mediterraneo) in solitario, ma una volta in Francia scoprii che, al contrario di quanto mi era stato riferito, il passaggio delle chiuse in kayak non era garantito e talvolta addirittura proibito. Essendo impensabile trasbordare ad ogni passaggio di chiusa, oltretutto con una canoa abbastanza piena e quindi pesante, rinunciai all’impresa senza dare neanche il primo colpo di pagaia, ma prima di rientrare in Italia raccolsi informazioni, comprai varie guide specifiche e fotocopiai le mappe e i dati delle chiuse dei tratti non compresi nelle guide. Già allora ero ben deciso a portare a termine il raid, in un modo o nell’altro.
Negli anni successivi il club FoKa (Folgore Kayak) crebbe, feci tanta esperienza e mi abituai a percorrere lunghe distanze in mare e, oltre a pianificare dettagliatamente il percorso, cominciai cercare compagni di avventura. Il tratto Arles-Bordeaux (dal Mediterraneo all’Atlantico, opzionale nell’83) divenne parte integrante del progetto e l’altro elemento nuovo e certo era quello di viaggiare con un camper appoggio.
Finalmente nella primavera del 1986 il progetto era pronto, avevo cartine dettagliate di tutti i canali e fiumi da percorrere, avevo stretto rapporti di collaborazione con Andrea Alessandrini (canoe ASA) il quale si impegnò a fornirci i kayak, durante il mio soggiorno a Eugene, Oregon (U.S.A.) avevo studiato una dieta con l’aiuto di una allenatrice di livello nazionale, c’era anche qualche sponsor e il gruppo era in via di formazione. 
Da maggio ad agosto aumentammo le distanze medie delle uscite in mare, ci fu qualche defezione, trovammo sostituti (una veramente all’ultimo momento, come si può notare sul flyer di presentazione) e a inizio settembre partimmo.
Se qualcuno si sta chiedendo perché solo ora parlo di questo raid (che fornì grandi soddisfazioni e divertimento a tutti i partecipanti) ecco il motivo: dopo quasi 30 anni ho riordinato le varie centinaia di diapositive, quasi tutte scattate da Ernesto, e ne ho fatto eseguire delle buone scansioni. Nelle prossime settimane ne pubblicherò una buona parte, in gruppi di immagini in qualche modo connesse fra loro, accompagnati da post di approfondimento (vita lungo i canali, funzionamento delle chiuse, turismo fluviale, l'incredibile costruzione del Canal du Midi, deviazione alle Gole dell'Ardeche, ...) o da post descrittivi sui quali probabilmente (spero) i miei compagni di viaggio di allora avranno qualche commento da fare.
      
Per ora allego il flyer che comprendeva la copertina (di presentazione), un saluto/augurio del Sindaco, un breve scritto di Carlo Franco e un mio commento in qualità di promotore/organizzatore. Prossimamente aggiungerò una rassegna stampa e forse il filmato del servizio del TG3 sulla 1750km in kayak.

mercoledì 22 luglio 2015

Il Giro di S. Croce NON include Punta Campanella

Mi vedo costretto a questa ennesima precisazione, in quanto sembra che tanti leggano troppo velocemente e intendono ciò che vogliono intendere, ben diverso da quanto scritto.
Sono apparsi articoli a stampa e post nei quali si riferisce che io avrei proposto un "percorso alternativo per raggiungere Punta Campanella, ora che la strada è chiusa per lavori."
Nei due post che ho pubblicato in merito, solo in quello del 14 luglio compare la parola alternativo/a (tre volte) e mai in quel senso. Prima di analizzare - per ribadire il mio pensiero - quanto già scritto in precedenza, sottolineo che la proposta era incentrata su una "alternativa a Punta Campanella" e non "alternativa per Punta Campanella". La differenza è sostanziale.

I citazione:
Ho quindi elaborato una proposta di circuito alternativo (per ora lo chiamerò Giro di Santa Croce) .... In sostanza ho suggerito di utilizzare ufficialmente il sentiero da poco ripulito e sistemato, fra Cercito e il Vuallariello per accedere alla parte alta del crinale (sentiero CAI 300,  fra il “radar” e Punta Campanella).
In questo primo paragrafo parlo di "circuito alternativo" e non di "percorso alternativo". Vale a dire suggerisco di proporre agli escursionisti che giungono a Termini avendo come obiettivo il Circuito di Athena (impraticabile in quanto fino al 2016 circa 2 km dell'itinerario sono interdetti al transito) di percorrere invece il Giro di Santa Croce, altrettanto panoramico, pur nella sua diversità. Questo intercetta il sentiero CAI a quota 400m circa, ben lontano e più in alto di Punta Campanella, e poi si dirige verso San Costanzo.

II citazione: 
In questo modo si fornirebbe una valida alternativa sia alla semplice passeggiata alla Torre Minerva e ritorno, sia al circuito di Athena.
Come scritto poc'anzi, il Giro di Santa Croce è "un'alternativa a", come dire: "se non partono i traghetti, un'alternativa a Capri è Pompei" e non "c'è traffico sull'Amalfitana, un'alternativa per andare a Ravello è il valico di Chiunzi."  Nel primo caso (come quello di cui si discute) c'è un cambio di destinazione, nel secondo la metà rimane la stessa, si cambia itinerario (interpretazione arbitraria del mio post, cosa che non mi sembra di aver scritto.

III citazione: 
Spero anche di vedere a breve un pannello con cartina al bivio di via Cercito che indichi che quello è il percorso alternativo per raggiungere il crinale
In quest'ultimo caso è vero che ho scritto "percorso alternativo per", ma la destinazione è il crinale e non Punta Campanella

Per concludere, e spero che sia ben chiaro, ripeto che l'ultima parte di via Campanella (1,7km dalla località Cancello fino al termine nei pressi del faro e della torre Minerva) è chiusa al traffico veicolare e pedonale. 
Infine, riporto le testuali parole del mio post del 14 luglio:
Lavori sono previsti anche nell’area circostante la torre che quindi sarà chiusa anche per quelli che pensano di raggiungerla da monte, percorrendo il crinale.  
FINO A NUOVO ORDINE (si spera entro il 31 dicembre 2015)
NON SI VA A PUNTA CAMPANELLA 

domenica 19 luglio 2015

Pancho Villa, eroe o bandito, comunque leggendario

Domani, 20 luglio, ricorre l’anniversario della morte di Pancho Villa che fu ucciso a tradimento in un agguato mentre era alla guida della sua auto. 
Nacque come José Doroteo Arango Arámbula (1878-1923), ma molti non concordano in merito all’identità del padre e ancor di più sulla provenienze del suo successivo famoso pseudonimo con il quale è conosciuto in tutto il mondo (in qualunque classifica è fra i primi 10 messicani più famosi).
Figlio di peones, a 16 anni comincia la sua storia di fuggitivo dopo aver sparato al padrone dell’hacienda nella quale lavorava la sua famiglia per aver violentato - o tentato di farlo – sua sorella maggiore. Già con una taglia sulla sua testa, negli anni seguenti fu manovale, bandito, minatore, macellaio, ladro di bestiame e allevatore di galli da combattimento.  In questo periodo assunse il nome di Francisco (Pancho) Villa nel tentativo di depistare le autorità. C’è chi sostiene che tale Jesus Villa fosse il suo vero padre, che però non lo riconobbe, e quindi fu registrato con il cognome della madre, Arango. Secondo questa versione dei fatti avrebbe così cambiato solo il nome in quanto sarebbe dovuto essere battezzato come Agustín Villa Arango. Altri sostengono che Villa fosse suo nonno materno, ma concordano sul fatto che il padre non lo riconobbe. 
Di conseguenza il giovane Pancho aveva vari validi motivi per essere fuorilegge e “non amare troppo” latifondisti, allevatori e capitalisti in genere e quindi fu ben felice di abbracciare la causa rivoluzionaria  a di diventare fedelissimo di Francisco I. Madero. A questi si attribuisce il merito di aver iniziato il movimento rivoluzionario per rovesciare Porfirio Diaz e mettere fine alla sua ultratrentennale dittatura (1875-1911), conosciuta come porfiriado.
Villa fu l’unico personaggio di un certo livello (fra Presidenti, politici, generali) a sopravvivere alla terribile seconda decade del ‘900 durante la quale la rivoluzione, pesantemente condizionata da corruzione e tradimenti, fu caratterizzata da esecuzioni sommarie e attentati. Quasi distrusse il potere economico del Messico a livello internazionale, ma allo stesso tempo ridusse anche le differenze sociali, iniziò la scolarizzazione di massa e portò un po’ di giustizia.
Citazione nell'immagine a destra: "Quando fui governatore di Chihuahua, nel primo mese di governo, furono costruite circa 50 scuole. Io non ci sono mai andato, ma sapevo qual è l'importanza degli studi per andare avanti."
Chiaramente Pancho Villa diventò ben presto una leggenda e la sua abilità di sopravvivere in questa situazione, pur combattendo in prima linea ed avendo tanti potenti nemici, gli fece guadagnare uno dei suoi soprannomi più conosciuti: El Alacràn (lo scorpione), “come quell’aracnide che vive nel deserto messicano Pancho Villa si dimostrò elusivo e misterioso, il più delle volte letale.
L’altro famoso soprannome fu El Centauro del Norte (centauro, animale mitologico metà uomo e metà cavallo) e questo derivava dalla sua abilità di cavaliere e la passione per i cavalli, storie sulle quali sono stati scritti numerosi corridos (p.e. “Caballos de Pancho Villa”, “El siete leguas”, “El regalo”).
Resoconti delle sue imprese e battaglie, più o meno mitizzate, ma senz’altro vere nella sostanza, hanno ispirato tanti altri testi che già all’epoca contribuirono a far conoscere in tutto il paese Villa e gli eventi di Celaya, Zacatecas e CananeaIn varie decine di pellicole compare il personaggio di Pancho Villa e il film che capeggia la classifica dei migliori prodotti in Messico è Vámonos con Pancho VillaAi messicani è sempre stato rimproverato di essere machisti e il fatto che Pancho avesse 8 mogli ufficiali (ma pare fossero addirittura 75 sparse nei vari stati messicani) e vastissima prole gli fece acquisire ulteriori “meriti” agli occhi del popolo. 
Qui in basso manifesto per reclutare gringos, bandiera dalla División del Norte
e vignetta americana dell'epoca (zio Sam dice: "Ne ho proprio abbastanza")
  

Villa è stato l’unico ad “invadere” gli Stati Uniti, attaccando Columbus (New Mexico) con la sua División del Norte. Questo avvenimento e le relative conseguenze contribuirono ulteriormente alla sua fama internazionale. L’allora presidente americano Wilson tentò di reagire organizzando immediatamente una spedizione punitiva (Pancho Villa Expedition, 1916-17) diretta dal generale John J. Pershing, al comando di 10.000 uomini. Durante i 12 mesi di caccia all’uomo, nonostante l’impiego di mezzi moderni, inclusi aeroplani, Villa (fedele all’appellativo Alacràn) eluse tutti i tentativi degli americani che vinsero solo poche scaramucce e battaglie di poca importanza. In base a ciò Pershing sostenne pubblicamente che la spedizione era stata un successo, cosa evidentemente non vera in quanto avevano fallito l’obiettivo principale: eliminare Villa. In privato, tuttavia, si lamentò dei troppi vincoli imposti da Wilson (che voleva evitare una guerra vera e propria) e ammise di “essere stato continuamente preso in giro, depistato e gabbato” e aggiunse “quando la vera storia sarà scritta, non sarà un capitolo esemplare né per gli studenti, né per gli adulti. Piombati in Messico con l’intenzione di fare un sol boccone dei villisti, ci siamo ritirati alla prima reazione e ora torniamo a casa di nascosto, come un bastardino bastonato con la coda fra le gambe.”
Altro avvenimento non del tutto chiarito è quello del suo assassinio (seppur strano non è l'ultimo) anche se i più sono convinti che i mandanti fossero lo stesso presidente Álvaro Obregón che, come la maggior parte dei politici messicani, fu egualmente assassinato l’anno seguente, e il suo successore Plutarco Elías Calles, nonché gli americani (pur non esistendo ancora la CIA che successivamente avrebbe usato gli stessi metodi). Dicevo non ultimo in quanto tre anni più tardi qualcuno offrì (si dice) 50.000 dollari per la sua testa e, ovviamente per il Messico degli anni '20, qualcuno si prese la briga di dissotterrare il cadavere e decapitarlo ... 
Ecco alcuni dei tanti link interessanti relativi a Villa:
Corrido a Pancho Villa (uno dei più conosciuti, video con tante interessanti foto originali)
Pancho Villa: El centauro del norte  Capítulo1 * Capítulo 2 (spagnolo)
documentario dell’UNAM, Universidad Nacional Autónoma de México
Pancho Villa: Héroe bandido (inglese con sottotitoli in spagnolo)
In rete potrete trovare tanti altri documenti, filmati, notizie, storie, corridos e film che spesso propongono storie contrastanti. 
Dov'è che finisce la Storia e comincia il Mito?

giovedì 16 luglio 2015

Vuallariello ripulito e Giro di Santa Croce

In tempi estremamente rapidi, la mia proposta di recupero della strada vicinale Vuallariello è stata accolta dall’ass. al Turismo Giovanna Staiano e dal delegato alla sentieristica Giuseppe D’Esposito i quali si sono subito attivati per far diserbare detto tracciato. In meno di un mese quindi, l’intero antico percorso utilizzato per secoli per andare da Termini fino a Campo Vetavole è stato recuperato alla fruizione pubblica. Poche settimane fa rappresentanti di varie associazioni risistemarono la vicinale Le Selve (erroneamente chiamata Vuallariello) e oggi, in poche ore, personale comunale ha provveduto a rendere di nuovo transitabile la vera vicinale Vuallariello trattandosi  per lo più di diserbamento.
Come ebbi già modo di scrivere, detto sentiero è molto panoramico e in combinazione con l’altro, in particolare ora che via Campanella è chiusa per lavori, dà la possibilità di accedere alla parte alta del crinale evitando di dover effettuare una andata e ritorno da San Costanzo.
Il giro proposto, già interamente percorribile, misura da 4,0 a 4,5km con circa 250m di dislivello a seconda dell’itinerario scelto e della eventuale deviazione fino al punto panoramico di Campo Vetavole (395m s.l.m.).
Personalmente propendo per effettuare il giro in senso antiorario per vari motivi:
  • la salita da Cercito al Vuallariello attraverso il bosco è sempre abbastanza fresca
  • procedendo verso Campo Vetavole si rimane costantemente a vista di Capri
  • il tragitto verso San Costanzo lungo il versante sud-orientale, qualunque dei tracciati CAI si segua, offre splendide viste di Jeranto e Li Galli
  • passando da Santa Croce a San Costanzo si è quasi sempre a vista della cappella, visione certamente più piacevole del “radar” che si vedrebbe procedendo in senso contrario

Su questa cartina provvisoria e temporanea, ho messo in evidenza il Giro di Santa Croce (in rosso) riportandone le varie opzioni, ne ho descritto brevemente l’itinerario suggerito indicando anche distanza e dislivello ed infine ho riportato più volte l’avviso di chiusura di via Campanella, oltre a coprire la stessa di evidenti X viola (notizia e simbolo riportati anche nel titolo della mappa).
Approfittando di questa riedizione, ho pure aggiunto l'area recintata del "radar" che certamente faciliterà ai meno esperti l'individuazione dei sentieri circostanti e l'orientamento in genere.
Come tutte le mie pubblicazioni in internet, anche questa carta è liberamente scaricabile e stampabile, ma prima di scaricarla ricordate di ingrandirla a dimensione reale cliccandoci sopra ... e poi la salvate. Potete anche scaricarla direttamente dal mio sito www.giovis.com/maps/vuallprint.jpg  
Spero ne facciate buon uso. 

martedì 14 luglio 2015

Punta Campanella inaccessibile fino a gennaio 2016

L’ho saputo per caso sabato scorso anche se la relativa ordinanza (n. 150 del 6 luglio) è della settimana scorsa. A causa dei lavori di risistemazione del fondo stradale e abbattimento di barriere architettoniche, via Campanella resterà interdetta al traffico fra la località Cancello (dove c’è l’edicola votiva) e la Torre Minerva. Il divieto non riguarda solo i veicoli, ma anche i pedoni e quindi gli escursionisti. Lavori sono previsti anche nell’area circostante la torre che quindi sarà chiusa anche per quelli che pensano di raggiungerla da monte, percorrendo il crinale.
Ciò premesso, mi sono posto il problema (anche se non mi tocca direttamente) di cercare di non perdere la fruizione dell’area fra Monte Santa Croce (“cima del “radar”) e della Punta Campanella. Ho quindi elaborato una proposta di circuito alternativo (per ora lo chiamerò  Giro di Santa Croce) e l’ho sottoposta a chi di competenza, riscontrando un certo interesse. In sostanza ho suggerito di utilizzare ufficialmente il sentiero da poco ripulito e sistemato, fra Cercito e il Vuallariello per accedere alla parte alta del crinale (sentiero CAI 300,  fra il “radar” e Punta Campanella). In questo modo, anche nei giorni più caldi, gli escursionisti potranno accedervi attraverso il fresco castagneto (‘a sévera) e  la caratteristica scala nel taglio della parete rocciosa e quindi proseguire fino a Campo Vetavole percorrendo la strada vicinale Vuallariello.

Quest’ultima, però, dovrebbe essere almeno sommariamente ripulita per facilitarne l’individuazione da parte degli escursionisti. Non essendoci quasi dislivelli basterebbe tagliare l’erba creando una traccia larga meno di un metro. La suddetta vicinale incrocia l’Alta Via dei Monti Lattari (CAI 300) nei pressi di Campo Vetavole e quindi di  lì si ritorna sulla rete di sentieri già battuti, conosciuti e riportati sulle guide e le cartine escursionistiche. Per tornare verso San Costanzo, e quindi Termini, si avranno le solite tre possibilità:
  • sentiero lungo il versante occidentale per il “belvedere” in cima alla frana di Mitigliano
  • vecchio tracciato CAI fino alla recinzione del “radar” seguendola poi sul versante SE
  • nuovo tracciato CAI che conduce direttamente alla pineta

Al di là della realizzazione e segnatura o meno del circuito proposto, sarà importante far presente agli escursionisti che a partire dall’incrocio Vuallariello-sentiero CAI vorranno discendere il crinale verso Punta Campanella, che dovranno poi risalire lungo lo stesso percorso non potendo comunque accedere all’area attorno alla Torre Minerva e tantomeno tornare a Termini percorrendo via Campanella, essendo questa sbarrata dal cancello. Dell’eventualità che qualcuno, volontariamente o perché non informato, possa arrivare nei pressi del cantiere dovrebbe essere informata da ditta che esegue i lavori e in modo che possa predisporre adeguata segnaletica.
In mancanza di opportuni avvisi (multilingua) lungo il sentiero CAI a partire da Campo Vetavole e in zona Rezzale (quasi a Punta Campanella) si rischierà di dover andare a recuperare spesso gli escursionisti che, percorrendo il Circuito di Athena in senso orario (S. Costanzo-Campanella-Termini), rimarranno inevitabilmente bloccati a valle della chiusura a Cancello.
Considerato che il periodo di interdizione durerà almeno fino a tutto il 2015 e che a partire da settembre gli escursionisti torneranno in gran numero per andare a Punta Campanella, penso sia più che opportuno proporre loro il “Circuito (o Giro) di Santa Croce” (Termini-Cercito-Vuallariello-Vetavole-S.Costanzo-Termini). In questo modo si fornirebbe una valida alternativa sia alla semplice passeggiata alla Torre Minerva e ritorno, sia al circuito di Athena.
Oltretutto, così facendo, non si perderebbe né il flusso turistico né il lavoro di recente eseguito dai volontari che hanno ripristinato il sentiero fra Cercito e il Vuallariello (strada vic. Le Selve) che, al contrario, sarebbe valorizzato.
Come si può notare dalla seguente tabella comparativa, il proposto Giro di Santa Croce è più breve degli altri due percorsi classici ed ha minor dislivello, ma comprende buona parte del tratto panoramico di crinale (circuito di Athena) senza dover affrontare i suoi circa 500m di dislivello e, pur mancando l’area archeologica, evita di percorrere via Campanella sia all’andata che al ritorno, per gran parte su strada. Non da ultimo ha il vantaggio di offrire una salita all’ombra in un ambiente molto diverso dagli altri circostanti.
  • Circuito di Athena                     7km + 500m dislivello
  • Termini-Campanella a/r           6km + 300m dislivello
  • Circuito di Santa Croce             4,5km + 250m dislivello

In considerazione di quanto esposto, seppur con alcuni possibili adattamenti e/o correzioni, in poco tempo si potrebbe pubblicizzare e rendere completamente percorribile l’itinerario in questione. A fine anno, dopo questo periodo di lancio (forzato), si potrà valutare l’opportunità di aggiungerlo in via definitiva ai percorsi escursionistici già proposti e segnalati, tenendo conto delle valutazioni e commenti degli escursionisti che l’avranno percorso.
Comunque vada, al più presto dovrebbero essere apposti cartelli e/o segnali in più lingue, quanto più evidenti possibile, a partire dalla piazza di Termini in modo da evitare, per quanto possibile, che qualcuno possa giungere fino all’ingresso del cantiere e poi debba tornare indietro. Spero anche di vedere a breve un pannello con cartina al bivio di via Cercito che indichi che quello è il percorso alternativo per raggiungere il crinale. 
A sinistra bozza della cartina in cui sono evidenziati in rosso i sentieri interessati mentre la parte interdetta di via Campanella è coperta da X viola.

sabato 11 luglio 2015

Quin Tajimoltic, Carnaval en Chamula

Dopo l’Entierro de la sardina trattato nel post precedente, eccone un altro connesso in qualche modo con il Carnevale, ma di origini ben più antiche e di maggior interesse antropologico. Mi riferisco a quello che oggi viene chiamato Carnaval, ma che ben poco ha a che vedere con il Martedì grasso e il Mercoledì delle ceneri. Ha un cerimoniale molto complesso con festeggiamenti che iniziano il sabato precedente il tradizionale Carnevale e terminano il mercoledì, ma la preparazione impegna la popolazione praticamente tutto l’anno. Durante i 5 giorni di festa non si doveva svolgere alcuna attività lavorativa che non fosse in relazione con le celebrazioni in quanto erano i giorni cosiddetti “vuoti”, quelli che mancavano al calendario Maya (di 360 giorni) per pareggiare l’anno solare. Gli Spagnoli, nel corso della Conquista e conseguente cristianizzazione (quasi sempre forzata) degli Indios, si opponevano a simili riti pagani ma, quando non riuscivano a sradicare delle tradizioni più o meno religiose, le trasformavano a loro uso e consumo e le associavano a eventi, simboli e date caratteristiche della propria religione. In questo modo la festa maya Quin Tajimoltic, seppur trasformata in un carnevale, si è mantenuta quasi intatta per quasi cinque secoli. Purtroppo, a giudicare dalle foto e video trovati in rete, è ormai giunta alla fine della sua originalità e spontaneità. 
Molte informazioni in merito allo svolgimento delle celebrazioni le trovate nell’articolo che scrissi per Il Mattino di Napoli (1 settembre 1984) e che allego (cliccare sulle immagini per scaricarlo e leggerlo). Mi è capitato fra le mani scavando fra i miei vecchi articoli per recuperare quanto riguardante il mio raid canoistico Dunkerque-Arles-Bordeaux (Francia 1986, dalla Manica al Mediterraneo e di lì all'Atlantico) del quale a breve pubblicherò centinaia di foto e numerosi commenti. 
       
L’articolo lo scrissi con cognizione di causa ed esperienza diretta in quanto nel febbraio 1983 ero in Messico e da San Cristobal de las Casas (Chiapas) ogni giorno salivo a San Juan Chamula (una decina di km più a nord, a 2.260m s.l.m.) per il Carnaval. Ero arrivato a San Cristobal a gennaio ed avevo effettuato delle ricerche in merito alla festa (della quale già avevo letto qualcosa) nella biblioteca Na Bolom, presso la residenza dell’antropologa svizzera Gertrude "Trudi" Duby Blom (1901-1993, anche giornalista, ambientalista, documentarista e fotografa). Vedova dell’archeologo danese Frans Blom (1893-1963), all’epoca continuava a recarsi nella selva un paio di volte l’anno sia per continuare le sue ricerche (in particolare per l’etnia dei Lacandones) sia per portare alle poche centinaia di sopravvissuti medicinali e generi di prima necessità. Non ebbi il piacere di incontrala in quanto (pur avendo già oltre 80 anni) era impegnata in una delle suddette spedizioni che duravano abbastanza poiché per lunghi tratti doveva procedere a piedi o a cavallo.
Dopo aver acquisito una gran quantità di notizie molto dettagliate nella ricchissima biblioteca, comprai anche un libretto che trattava esclusivamente al Carnaval Chamula. Variando per l’ennesima volta il mio itinerario (sempre più che flessibile), me ne andai in Guatemala e poi un paio di giorni in Honduras a visitare altri siti archeologici dopo i vari già visti in Messico e nei lunghi trasferimenti in bus, spesso su strade sterrate, mi lessi tutto il libro. Ritornato a San Cristobal a metà febbraio ero più che istruito e quindi pronto a seguire e comprendere ogni avvenimento del Carnaval Chamula.
Molti di questi gruppi etnici vivevano allora abbastanza isolati e nei pueblos non sempre si trovava chi parlasse spagnolo (anche se in America latina preferiscono riferirsi alla lingua madre come castellano). La maggior parte dei Tzotzil, reputati discendenti diretti dei Maya classici, dei quali fanno parte i gruppi Chamula, Zinacantan, Larráinzar e parecchi altri, parlano quasi esclusivamente la loro lingua, hanno le proprie leggi, la propria polizia, la propria scuola ... insomma piccole comunità quasi del tutto autonome (almeno era così 30 anni fa).
Anche stavolta ho messo troppa carne a cuocere e fornito spunti per indagini e ricerche illimitate, ma ciò è ovvia conseguenza del fatto che, nonostante i vari decenni trascorsi, la maggior parte di quello che vidi e appresi in quei mesi è tuttora ben chiaro nella mia mente e non posso evitare di passare un argomento all’altro in quanto spesso strettamente correlati.
Concludo con una considerazione in merito al rispetto che si dovrebbe avere per le culture diverse dalle proprie, sostenendo che nei casi di incompatibilità spetta al “visitatore” di adattarsi senza pretendere che sia l’ospite ad adeguarsi alle sue tradizioni, idioma, religione, abitudini o superstizioni. 
Su tutte le (poche) guide dell’epoca che parlavano del Carnaval de San Juan Chamula veniva ben evidenziato il fatto che gli abitanti, in particolare nel corso della festa, non volevano essere assolutamente fotografati e si avvisava che nei confronti di chi trasgrediva potevano diventare violenti. Qualcuno citava un episodio avvenuto negli anni ’70 nel corso del quale due francesi furono praticamente linciati. Indipendentemente dalla veridicità del fatto (leggenda metropolitana?) questo delle fotografie non autorizzate è un vecchissimo problema e, specialmente avendo a che fare con culture tanto diverse dalle nostre, è sempre bene (corretto, rispettoso e opportuno) chiedere prima di scattare e rispettare i divieti.
Tuttavia, a dimostrazione del fatto che queste popolazioni vogliono solo essere rispettate e non sono assolutamente violente o razziste per partito preso, ecco la mia testimonianza diretta. A quel Carnaval assistevano pochissimi stranieri e anche i messicani non indios erano scarsi. La distinzione era evidente non solo per la carnagione e i tratti somatici, ma anche per i coloratissimi costumi dei locali (ogni pueblo di quell’area ha un suo abbigliamento particolare, anche nella vita quotidiana). Essendo oltretutto ben più alto della media, era per me impossibile non essere notato eppure, rimanendo sempre in seconda linea, ma sempre presente, seguendo con attenzione tutti le processioni, danze e musiche in giro fra i tre barrios del paese, prendendo appunti e scambiando poche parole con qualcuno (che spesso parlava un castellano ancora più essenziale del mio) mi guadagnai la simpatia?, stima? rispetto? dei Chamula.
Infatti il martedì, giorno nel quale tutta la popolazione va alle sorgenti per consumare la carne de toro, fui l’unico non Chamula al quale furono offerti i tradizionali tre pezzi di carne bollita, servita nel proprio brodo in una zucchetta svuotata a mo’ di bicchiere, accompagnati da chicha e aguardiente. Tutti quelli che non ricoprivano un ruolo ufficiale erano disposti in un grande cerchio attorno al prato dove si svolgeva la cerimonia. Ricordo ancora lo sguardo di chi mi porse il cibo che veniva portato persona per persona e nessuno allungava la mano prima (altro che i ben noti assalti al buffet). Dopo aver ignorato i messicani e gli altri pochi stranieri presenti, si fermò ad osservarmi pur non essendo in prima fila, mi fissò per qualche istante e poi mi porse la carne e la chicha
Così si comportano (almeno all'epoca) i civilissimi Chamula, che vogliono semplicemente continuare a mantenere vive le proprie tradizioni, senza interferenze. Purtroppo oggigiorno i turisti (spesso molto poco sensibili) crescono a dismisura, i viaggiatori (quelli veri) diventano sempre più rari e con la globalizzazione che fa il resto tanto, tantissimo, si sta perdendo per sempre.

mercoledì 8 luglio 2015

Entierro de la Sardina

Letteralmente significa “Sepoltura della sardina”, ma nella maggior parte dei casi ciò che la simboleggia viene bruciato e non sepolto. Si tratta di una festa abbastanza conosciuta e seguita in Spagna ed America Latina e si celebra nel corso del Carnevale, di solito il mercoledì delle ceneriLe origini non sono certe e ci sono numerose correnti di pensiero che, ovviamente, difendono a spada tratta le proprie teorie, ma le più accreditate sono due.
La prima ha una sua motivazione coerente con il significato del Carnevale in quanto la sardina che seppelliva era in effetti una cerdina (si pronuncia “serdina” e deriva da cerdo = maiale), vale a dire delle costate. L’Entierro simbolizzava quindi il vero significato di Carnevale la cui etimologia è appunto carnem levare = togliere la carne. I sostenitori di questa teoria dicono che, con la diffusione di descrizioni e racconti relativi a questa festa caratteristica dell’area di Madrid, passando di bocca in bocca la cerdina sia diventata sardina. Queste feste popolari che si svolgevano nei campi erano talmente amate e seguite da spingere Goya a farne un quadro nella seconda decade dell’800. (a sinistra)
L’altra storia vede invece come protagoniste delle vere sardine e l’aneddoto che avrebbe generato questa festa è certamente più divertente e, di conseguenza, più spesso accettato e sostenuto.
Un anno il re Carlo III decise di celebrare la fine del Carnevale con il popolo, la plebe, e fece portare una enorme quantità di sardine nel luogo della festa. Purtroppo fu una giornata inusitatamente calda e i pesci cominciarono a deteriorarsi molto rapidamente non essendo freschissimi. Madrid si trova a varie centinaia di chilometri dal mare e quindi avevano già fatto un bel viaggio in chissà quali condizioni. Per non rovinare completamente la festa, il Re, constatato l’insopportabile puzzo che le già maleodoranti sardine emanavano, ordinò di interrarle immediatamente. Questa decisione provocò la delusione e lo sconforto dei poveri cittadini che in mente loro già assaporavano i pesci arrostiti. Rimasero a bocca asciutta e quindi sparsero fiumi di lacrime a causa dell’effettiva sepoltura di vere sardine.
In tantissime tradizioni la fine del Carnevale (ma anche altri cambi significativi di stagione, semina, raccolto) viene celebrata con l’incendio di pupazzi o altri simboli per rappresentare la fine del periodo di festa e l’inizio del digiuno. Questa cerimonia conclusiva viene spesso preceduta da cortei in costume, lettura del testamento, “preghiere carnevalesche”, balli e libagioni.
In alcuna città spagnole l’Entierro de la sardina è diventata l’evento più seguito dell’intero Carnevale. Murcia è una di queste e alla Sardina ha addirittura dedicato un monumento di notevoli dimensioni collocato in un luogo singolare. Infatti si tratta della rappresentazione dall’aspetto molto realistico di una sardina affiorante dalle acque del Rio Segura che attraversa la città.

La festa è entrata nel novero di quelle di "interesse turistico internazionale" ed ha un suo cerimoniale ufficiale, con l'intervento delle autorità, che va dalla presentazione del manifesto specifico per ciascuna edizione, a premi, conferenze ecc.. Esistono le agrupaciones sardineras che organizzano gran parte delle attività e collaborano con i gruppi carnevaleschi. Anche se al corteo funebre molti partecipano indossando lo stesso costume del carnevale, il gruppo più caratteristico è quello è in testa alla sfilata, subito dopo il "feretro". Ci sono sacerdoti benedicenti, vedove disperate e vedovi affranti, tutti vestiti di nero, che procedono urlando e piangendo nella migliore tradizione delle prèfiche.
Per avere un'idea di quante attività sono correlate all'evento, suggerisco di guardare questo video dell’Entierro de la Sardina di Murcia 2013

domenica 5 luglio 2015

“Tutti poliglotti” (comunichiamo con il resto del mondo)

Qualcuno avrà probabilmente già letto dell’approvazione del mio progetto Tutti poliglotti da parte dell’Amministrazione Comunale di Massa Lubrense e del mio ruolo di coordinatore e referente dello stesso. (qui il comunicato stampa). In attesa della presentazione ufficiale che si terrà nella sala consiliare del municipio giovedì 9 luglio alle 18.30, in questo post anticipo e approfondisco qualche aspetto che, ovviamente, non poteva essere analizzato nello stringato comunicato. Non ritenendo necessario soffermarmi sull'utilità, ormai quasi necessità, di conoscere abbastanza bene qualche lingua straniera (per studio, lavoro, viaggio, cultura, svago) e in particolare l'inglese, passo direttamente a chiarire alcune peculiarità del progetto che lo distinguono nettamente dai classici corsi di inglese, spagnolo, francese e tedesco.
  • Non è prevista una conclusione del progetto, teoricamente potrebbe durare in eterno.
  • Non saranno stabiliti calendari a lunga scadenza, ma programmi a 10-15 giorni in base alla disponibilità dei luoghi di riunione, proiettori e/o relatori.
  • Non ci sarà progressione didattica, ma si alterneranno attività di diverso livello e quindi non è necessario partecipare con regolarità.
Imparare un idioma ascoltando, leggendo e parlando, a prescindere dalle basi grammaticali, è un metodo ritenuto universalmente valido ed è ancor più utile se affiancato allo studio della lingua con metodi classici. Per quanto possibile, si farà del tutto a meno dell’italiano quindi, oltre alla indispensabile buona volontà, i partecipanti dovranno avere una certa conoscenza della lingua. Gli incontri saranno quindi vere e proprie full immersion e saranno estremamente vari comprendendo una miriade di attività, collettive e individuali. Per esempio:
  • proiezioni di film in una delle quattro lingue, con o senza sottotitoli, questi non per forza nello stesso idioma
  • programmi televisivi: sport, film, serie, notiziari, documentari, …
  • attività sociali in lingua straniera
  • creazione di gruppi di conversazione esclusivamente in lingua
  • conferenze concernenti possibilmente peculiarità relative al territorio, ma anche altri argomenti, per ampliare il proprio vocabolario
  • professionisti saranno invitati a parlare della loro professione
  • madrelingua ci faranno conoscere geografia, tradizioni e cultura dei loro paesi d’origine
  • avendo a disposizione più locali sarà possibile organizzare eventi in contemporanea
  • biblioteca circolante gestita dalla Pro Loco Massa Lubrense
Oltre a tutto ciò, sarà costituita una banca dati di link interessanti per chi volesse approfondire determinati argomenti, ampliare il proprio vocabolario, migliorare la grammatica e la sintassi. Quindi non solo indirizzi di siti di giornali, riviste, dizionari monolingue e bilingue, ma anche di video di news, documentari, conferenze, film, interviste, dibattiti.
Per la comprensione (che è ovviamente influenzata dai diversi accenti e pronunce) si utilizzeranno audio e testi provenienti da diverse aree geografiche. Per esempio, per l’inglese si proietteranno sia film di produzione britannica che americana; per lo spagnolo, pellicole girate in Spagna, in Messico o Argentina. Anche chi conosce solo poco una di queste lingue sa benissimo che ci sono profonde differenze fra le varianti, spesso numerose, di uno stesso idioma e ciò è vero non solo per la pronuncia e per il vocabolario, ma a volte anche per la scrittura, grammatica e sintassi.
Per ciò che riguarda la prosa, invece, oltre alla già citata biblioteca saranno suggeriti siti dai quali sia possibile scaricare - gratuitamente e legalmente - ebook e audiolibri. Scaricando entrambe le versioni digitali di uno stesso titolo si potranno utilizzare in contemporanea e questo è un esercizio che ognuno potrà fare dove e quando voglia. Sono già stati raccolti oltre un centinaio di libri, per lo più in lingua inglese, ma l'obiettivo è quello di raggiungere numeri ben più consistenti. Chi volesse contribuire ad arricchirla potrà portare libri e/o riviste alla Pro Loco di Massa Lubrense (che gestirà la biblioteca).
A proposito della sostanziale differenza fra chi parla una lingua, casomai senza neanche saperla scrivere, e chi ne conosce alla perfezione la grammatica ma in presenza di altri fa scena, riporto questa breve citazione:
I’ve run into a lot of language learners who, on paper, “speak” the language way better than I do. They have gotten As in their exams, they can explain the intricacies of the most complex grammar to you and they know obscure words of the foreign language. And yet they can’t converse with anyone in that language. If the goal is to be able to understand everything in a written text then they’ll likely do better than me, but in real life the cat almost always has their tongue. (www.fluentin3months.com)
In questo sito Benny (the Irish polyglot) spiega e dimostra che ciò che separa i teoricamente migliori studenti da quelli che effettivamente parlano una lingua sono gli specifici interessi di questi ultimi che sono concentrati soprattutto sulla comunicazione. Benny sostiene che per imparare a comunicare in una lingua diversa dalla nostra è assolutamente fondamentale ascoltare e parlare tanto, anche facendo tanti errori ... e io sono perfettamente d'accordo e per questo motivo promuovo il progetto Tutti poliglotti

giovedì 2 luglio 2015

Escursionismo: tracce GPS su wikiloc

Navigando in wikiloc ho scorso un certo numero di tracce gps, di buona parte delle quali conosco o posso dedurre l’attività dell’autore, e ho osservato che quelle pubblicate da trail runners sono per lo più precise, mentre un’alta percentuale di quelle caricate da escursionisti sono evidentemente errate.
Se ne deduce che chi organizza una gara o prevede di parteciparvi voglia, giustamente, conoscere con la maggior precisione possibile distanze, dislivelli e pendenze, e che quindi la maggior parte di loro perlustrino il percorso con il gps e successivamente correggano gli errori. Non penso che sia una semplice questione di qualità dello strumento, ma del successivo trattamento dei dati.
Teoricamente gli escursionisti dovrebbero avere gli stessi interessi eppure risulta che sono molto più “pigri” e quindi caricano traccia e altimetria così com'è anche se sono sicuro che molti di essi (fra i quali guide, esperti e camminatori abituali) si renderebbero conto che alcuni dati sono numeri al lotto se solo si soffermassero ad eseguire qualche semplice calcolo (addizioni e sottrazioni) e consultassero qualche carta. 
Un primo elemento indicativo è l’eventuale discrepanza fra salite e discese nei circuiti in quanto, tornando al punto di partenza, si devono pareggiare. Dubito che anche il miglior gps dopo 10 o 15km rilevi tale eguaglianza, da cui consegue che se i valori assoluti sono identici essi sono stati (giustamente) corretti. Al contrario, anche pochi metri di differenza, evidenziano una certa superficialità nella pubblicazione.
Al di là delle tracce che non si sovrappongono a strade e sentieri (facile confrontare in quanto spesso visibili dal satellite), il problema principale sono i “salti”, sia in pianta (la traccia si interseca e talvolta si aggroviglia su stessa), sia in altitudine (evidenti picchi positivi o negativi sul profilo, neanche lontanamente plausibili).  
Qui di seguito propongo vari esempi illustrati da alcune immagini.
guardate la traccia della parte  finale (accesso al Molare). Si interseca più volte, va in aree impraticabili e suggerisce l’ascesa al picco (1.443 o 1.444 e non 1.429) scalando la parete dopo un gran salto nel vuoto verso sud.
circuito (anche se non è caricato come tale) con dislivelli che si pareggiano (1.185) quindi potenzialmente giusti. Tuttavia il “salto”  nei pressi di Grotta Biscotto (parte finale) arriva anche a quota 707m ma il belvedere poco prima della fine della strada, punto massimo in quel tratto, non arriva neanche a 640m mentre il tornante della strada in cima alla falesia, molto più in alto, si trova a 722m. Quindi sicuramente ci sono almeno questa settantina di metri in più nei dislivelli totali, ma probabilmente non sono i soli. Infatti a chi conosce questo percorso i 1130m di dislivello appaiono assolutamente esagerati.
al km 3,6 la traccia si interseca e sul profilo si nota un picco (chiaramente inesistente). Facendo scorrere il mouse sul profilo, si leggono distanze e quote che evidenzierebbero che in circa 100m lineari (da 3,5 a 3,6km) si sale da quota 896 a 1.066 per poi tornare a 894 dopo altri 100m. In quei 200m (vallone a ovest della frana) non ci sono grandi dislivelli e quindi chiunque abbia un minimo di buon senso (che non equivale a dire la totalità degli escursionisti) capisce che è un errore derivante dal gps che, in particolare ai piedi di alte falesie o in strette forre, fornisce dati altimetrici ancor più sballati del solito.
In questo screenshot si nota la traccia che si interseca e il picco al km 3,6.

l’effettiva quota minima (corrispondente a quella di partenza) è di circa 205m e quella massima di 670m con l’arrivo un paio di metri più in basso. Chiunque conosca quel percorso potrà garantire che dalla curva di Corvo alla strada principale di S. Maria del Castello si sale costantemente è non c’è un metro di discesa. Di conseguenza ci si dovrebbe aspettare 465m di dislivello accumulato in salita e 2 o 3 in discesa. Il profilo mostra numerosi marcati saliscendi che in realtà non esistono assolutamente e per questo nella scheda risultano 584m di salita e 318m in discesa. Perdipiù, ciò significherebbe che il guadagno netto di quota dovrebbe essere di soli 266m … e gli altri 200? 

Poi ho trovato tre percorsi praticamente identici (Tre Calli), ma con dati abbastanza diversi:
traccia1: d=6,32km  disl.=344m  qmax 1.185m  qmin 875m
traccia2: d=5,55km  disl.=421m  qmax 1.096m  qmin 783m (convertite)
traccia3: d=6,16km  disl.=653m  qmax 1.122m  qmin 811m (-200m strada)
Le carte tecniche regionali quotano Monte Tre Calli 1.122,1m e Monte Calabrice 1.140,7, quindi la prima quota massima è senz’altro eccessiva, la seconda potrebbe essere giusta in quanto non tutti passano per il punto più alto del Tre Calli, la terza potrebbe essere giusta. La curva del crocifisso (inizio sentiero) si trova a 830m ma la strada di Paipo scende fino a 815m (quota minima cartografica). Di conseguenza il dato della prima traccia è di nuovo 60m più in alto, quello della seconda troppo basso e quello della terza di nuovo abbastanza preciso. Tuttavia, la terza traccia presenta un dislivello assolutamente esagerato, con oltre 600m di salita accumulata ed identica discesa. Fra tanti numeri posso aver senz'altro sbagliato qualche calcolo ma tre tracce di percorsi tanto simili non possono avere valori tanto diversi. Sicuramente molti di quei dati sono errati. 
La domanda è la seguente: 
visto che chi pubblica questo tipo di dati certamente lo fa con buoni propositi informativi, senza secondi fini e non certo per sviare gli utenti, perché non perdere un po’ di tempo a correggere gli errori più marchiani? 
Per conoscenza diretta posso affermare che molti degli autori ne sarebbero assolutamente capaci. 
Proprio per la necessità di dover controllare tutti i dati per poi correggerne buona parte mi sono sempre rifiutato di pubblicare tracce.